BRUNO CIAPPONI LANDI
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PUBBLICAZIONI E PRESENTAZIONI

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2000 - Pubblicazioni
 
Pericle Quadrio Curzio (Tirano 1928- Lecco 1985), in Tirano: la biblioteca verso il 2000, Sondrio, dicembre 1995, Ciapponi Landi Bruno[siglato b.c.l.], Biblioteca Arcari, Sondrio 2000, p. 2-3

Gli "Amministratori che amministrarono la Valtellina" in un elenco esposto nella Prefettura di Sondrio, in "Mons Braulius. Studi storici in memoria di Albino Garzetti", Ciapponi Landi Bruno, SocietĂ  Storica Valtellinese, Sondrio 2000, p. 87-100
 
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L'emigrazione poschiavina in Australia negli anni 1850 e 1860 attraverso le cronache de "Il Grigione Italiano", Templeton Jacqueline, Ciapponi Landi Bruno, Olgiati Gritli, Museo Etnografico Tiranese, Sondrio 2000, p. 23
 
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Camillo De Piaz, Ma io vi dico. Commenti alle letture bibliche delle festivitĂ . Anno C, Ciapponi Landi Bruno (a cura), Edizioni Servitium, Gorle BG 2000, p. 211
 
   
 
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Il museo Etnografico Tiranese. Guida, Ciapponi Landi Bruno, Rovaris Mauro, disegni di Luca Bonetti, Museo Etnografico Tiranese, Sondrio 2000, p. 24
 
   

Echi culturali dalla Valtellina, Bormio e Valchiavenna, in "Quaderni Grigionitaliani", CIAPPONI LANDI Bruno, , 2000, p.
 
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Gli "Amministratori che governarono la Valtellina" in un elenco esposto nelle Prefettura di Sondrio , CIAPPONI LANDI Bruno, , 2000, p. 87-100
 
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2000 - Presentazioni
 
Cici Bonazzi, Detti e proverbi, Filastrocche, Modi di dire in dialetto tiranese,, Ciapponi Landi Bruno, Museo Etnografico Tiranese, Sondrio 2000, p. 172 (IV.V)
 
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Moraschinelli Luisa, Usi e costumi di Valtellina. Come si viveva nei paesi valtellinesi negli anni '40, Ciapponi Landi Bruno, Alpinia, Bormio SO 2000, p. 123 (4-5)
 
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Titolo completo: Usi e costumi di Valtellina. Come si viveva nei paesi valtellinesi negli anni '40, l''Aprca nella testimonianza di Luisa Moraschinelli con 12 poesia dialettali. Prsentazione di Bruno Ciapponi Landi
 
Testo della presentazione Un nuovo libro si aggiunge alla produzione di Luisa Moraschinelli, sempre più intenzionata a compensare il ritardo della partenza con l’incalzante uscita di volumi che cadenzano, anno dopo anno, il tempo della sua maturità. Una produzione prevalentemente autobiografica dettata, si direbbe, dal desiderio incontenibile di raccontare e raccontarsi, che le permette di rivivere e di celebrare attraverso la rievocazione narrativa, come in una sorta di liturgia, la sua vita e il mondo del suo passato. I precedenti letterari di Luisa Moraschinelli hanno lontane radici nel giornalismo nostrano, come voce dall’estero del Corriere della Valtellina, un esordio nel 1993 con “Lisa e Franz”, il suo primo libro riconducibile come genere al romanzo storico, una prosecuzione nella diaristica, con “L’albero che piange” del 1994, dedicato alle sue esperienze di lavoro all’estero, con “Ricordi di guerra” del 1995, un approdo nella cultura popolare locale con “Uita d’Abriga cüntada ad dal so dialét (agn ’40)”, racconti poetici dialettali pubblicati in una elegante edizione del 1996 e infine con “Una parentesi fuori dal mondo”, storia autobiografica di una giovane ragazza valtellinese che tenta la via del convento. Interamente all’Aprica è dedicato questo libro: all’ambiente, alla vita quotidiana di montagna, alla sua trasformazione da alpeggio in attrezzato centro turistico, agli usi e costumi, alle credenze, alle leggende, alle devozioni, alle ricorrenze religiose e laiche. L’identità dell’Aprica che ne esce è resa credibile dall’autenticità che traspare dalla narrazione. Una autenticità rivelata dagli improvvisi affondi su questo o quel particolare la cui scelta è rivelatrice dell’importanza conferitagli in quel contesto. Anche il lessico e le licenze della Moraschinelli sono spesso rivelatrici, quando non documento, di aspetti di quella particolare cultura. In talune espressioni riecheggia apertamente il “parlare” dei contadini che negli “anni ’40 vivevano prevalentemente della loro campagna e dei prodotti delle loro bestie”. E “campagna” e “ bestie” erano un’espressione tipica dell’italiano di quel tempo e di quegli uomini: il loro modo, quello con il quale avevano deciso di dire “terra” e “animali”, dovendolo fare in una lingua diversa dal loro dialetto. Certamente un’opzione, conscia o inconscia che sia stata. Tutto il lessico e la stessa costruzione narrativa della Moraschinelli mi pare riecheggino questo particolare momento della evoluzione linguistica delle nostre valli, l’ultima resistenza prima della grande (forse definitiva) omologazione indotta dalla diffusione della televisione. Una grande narrazione da veglia invernale della stalla, che l’Autrice ci propone nella sua autenticità di testimone attenta e puntuale, offrendo così un contributo all’etnografia locale e un invito agli Aprichesi (a ai Valtellinesi tutti) a tener vive, almeno nella memoria, le loro radici. Bruno Ciapponi Landi



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